Gli elettori hanno creduto che avremmo dato il reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza è una bufala clamorosa (e ve la siete bevuta tutta)
Secondo diversi analisti è la promessa che ha fatto trionfare i Cinque Stelle, soprattutto al Sud. Il problema è che non c’entra nulla con quel che la gente crede che sia. E che già così, nella sua versione mignon, è difficilissima da realizzare. Qualcuno rimarrà deluso
di Francesco Cancellato
Alberto PIZZOLI / AFP
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8 Marzo 2018 – 07:50
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È stata uno delle idee vincenti dell’ultima campagna elettorale, nei fatti la proposta politica identitaria più forte del Movimento Cinque Stelle che ha dominato le elezioni del 4 marzo. Eppure, senza nemmeno aspettare la nascita del governo Di Maio, già si può dire con certezza che il reddito di cittadinanza sia la più grande mistificazione cui abbiamo assistito: la gente si aspetta una cosa, ne avrà un’altra. E soprattutto, sono parole dello stesso Di Maio, non si capisce bene se, come e quando.

Partiamo dall’inizio però, perché il problema è soprattutto semantico e le parole, come diceva il buon Nanni Moretti, sono importanti. Quando si parla di reddito di cittadinanza o di reddito di base si definisce un’erogazione monetaria, a intervallo di tempo regolare, distribuita a tutte le persone dotate di cittadinanza e di residenza, cumulabile con altri redditi indipendentemente dall’attività lavorativa effettuata o non effettuata, ed erogato durante tutta la vita del soggetto.

Questo è ciò di cui parlano, quando ne parlano, quelli come Bill Gates ed Elon Musk: «Ci sono buone possibilità che alla fine arriveremo a un reddito universale garantito, proprio a causa dell’automazione. Questo sarà un tema su cui discuteremo nei prossimi 10 o 20 anni… Le persone avranno più tempo per fare altre cose, cose più complesse e interessanti». Questo ha detto il fondatore di Tesla e SpaceX in un’intervista alla Cnbc di un annetto fa. Di una misura universale e garantita per combattere la disoccupazione tecnologica.

Quel che ha in mente Di Maio è un’altra cosa, completamente diversa, che del reddito di cittadinanza ha solo il nome. Leggiamo dall’intervista che ha concesso proprio a noi de Linkiesta: «Il nostro reddito di cittadinanza è condizionato – spiega – Non diamo soldi a persone per starsene sul divano. Noi vogliamo fare in modo che chi prende sostegno al reddito abbia un rapporto di diritto-dovere con lo Stato. Se hai perso il lavoro, il nostro reddito di cittadinanza ti obbliga a formarti per dei lavori che richiede il centro per l’impiego incrociando domanda e offerta e devi dare 8 ore di lavoro volontario al comune. Il sindaco ha a disposizione gratis per lavori di pubblica utilità tutti quelli che prendono il reddito di cittadinanza. È un meccanismo condizionato che si conclude con una proposta di lavoro che proviene dal centro per l’impiego».

Molto semplicemente, caro Di Maio, il vostro reddito di cittadinanza non è reddito di cittadinanza. Assomiglia a una cosa che si chiama flexsecurity, che in Europa settentrionale è la prassi già da qualche decennio, e che prevede flessibilità contrattuale, formazione continua, politiche attive del lavoro e misure di sostegno al reddito condizionate alla ricerca attiva di un posto di lavoro per chi rimane senza occupazione. Un approccio meritorio al mondo del lavoro, ma non di certo rivoluzionario. Si tratta di roba che in Italia funziona male, ma che nei fatti c’è già, e non da ieri. A cui aggiungete pure otto ore di lavoro settimanale socialmente utile, gratuito, che dovrebbe coinvolgere un bacino potenziale di circa 9 milioni di persone, secondo i calcoli dei Cinque Stelle. Lasciamo agli economisti del lavoro il calcolo in termini di compressione salariale di una simile trovata.

Spacciare una misura condizionata e selettiva per una misura incondizionata e universale. O, se preferite, una da 14 miliardi e spicci per una che ne costerebbe, a regime, circa 350, venticinque volte tanto. Stessimo parlando di un prodotto commerciale, a Di Maio arriverebbe una denuncia dell’Agcom per pubblicità ingannevole. Anche perché ci sono circa 11 milioni di elettori che se lo sono comprati, il reddito di cittadinanza, alle ultime elezioni

Chiamare tutto questo reddito di cittadinanza è stata una mossa di marketing geniale. Spacciare una misura condizionata e selettiva per una misura incondizionata e universale. O, se preferite, una da 14 miliardi e spicci per una che ne costerebbe, a regime, circa 350, venticinque volte tanto. Stessimo parlando di un prodotto commerciale, a Di Maio arriverebbe una denuncia dell’Agcom per pubblicità ingannevole. Anche perché ci sono circa 11 milioni di elettori che se lo sono comprati, il reddito di cittadinanza, alle ultime elezioni. E ha voglia Di Maio a girare la frittata – «Dicono che ci avete votato per il reddito di cittadinanza, quindi perché abbiamo promesso soldi, vi trattano come miserabili!», arringa la folla a Pomigliano d’Arco – facendo finta che il reddito di cittadinanza non sia stato un argomento decisivo in regioni come quelle meridionali, in cui la disoccupazione giovanile supera il 50%, quella femminile il 22%, quella generale il 15%. Dite quello che volete, ma siete sicuri che ora la gente non si aspetti davvero un sussidio universale, nel caso i Cinque Stelle vadano al Governo?

Peraltro, beffa nella beffa, pure la flexecurity a Cinque Stelle – molto poco sexy, ma comunque utile, se ben fatta – è molto difficile da realizzare, e Di Maio ha cominciato a dire pure questo, a urne chiuse. Ha detto che ci vorrà tempo, perché «prima bisogna riformare i centri per l’impiego». Giusto, giustissimo. Ma siamo sicuri basteranno i tre miliardi stanziati dal programma dei Cinque Stelle? E soprattutto, basterà metterci dei soldi senza spostare le competenze per le politiche attive del lavoro dalle Regioni allo Stato? E ancora, visto che si tratta di competenze sancite dalla costituzione, siamo sicuri che ci sia una maggioranza politica in grado di approvare una legge costituzionale, o che non sarà necessario un nuovo referendum per la riforma del Titolo V della Costituzione?

Questa è la dura realtà, che non è tanto diversa da quella degli ultimi cinque anni. Problemi complessi, situazioni incancrenite da correggere, pochi soldi per farlo. Chi si è comprato la bacchetta magica di Di Maio temiamo rimarrà parecchio deluso. Poco male: al prossimo giro si berrà le panzane di qualcun altro. Gran brutta bestia, la memoria corta.
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